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Quando le quote da pagare sono particolarmente alte, o in presenza di spese straordinarie da affrontare, è frequente che nel condominio si presentino uno o più casi di morosità.
Generalmente, è il regolamento condominiale a stabilire entro quanto tempo devono essere effettuati i pagamenti e – di conseguenza – quando un condomino può essere considerato moroso. Gli interessi e le penalità per i ritardi sono quantificati dallo stesso regolamento, o direttamente dall’assemblea condominiale.
Per le spese straordinarie, relative a riparazioni o innovazioni dell’impiantistica, l’obbligo di pagare il proprio contributo scatta nel momento in cui l’assemblea delibera e ratifica gli interventi. Quando queste spese sono particolarmente esose, gli amministratori solitamente concedono una rateizzazione dei pagamenti, seppur spalmati in tempi non eccessivamente lunghi.
In caso di condomino moroso il recupero credito è inevitabile, soprattutto quando ripetuti solleciti non sono bastati per sbloccare l’empasse: la legge italiana stabilisce che l’amministratore, senza bisogno di approvazione da parte dell’assemblea e senza l’obbligo della procedura di mediazione, può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. In merito si è espressa anche la Corte di Cassazione, stabilendo che l’amministratore può chiedere il decreto per i contributi insoluti non soltanto in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea ma anche in base «ai prospetti mensili delle spese condominiali non contestati», in questo caso però senza clausola di provvisoria esecuzione.
Questa è una procedura stabilita ad hoc per l’ambito condominiale: i mancati pagamenti, infatti, possono incidere negativamente sulla buona conservazione delle parti comuni, danneggiando anche chi ha sempre pagato in modo puntuale. Di più: l’incarico dell’amministratore – che per ottenere il decreto deve produrre tutta la documentazione necessaria a provare il debito – può anche essere revocato se quest’ultimo abbia dimostrato di non curare con la debita attenzione e solerzia l’esecuzione coattiva. Quando il ritardo supera i sei mesi, l’amministratore può anche sospendere il condomino moroso dai servizi comuni a godimento separato. Questo vale per qualsiasi quota non saldata, sia di natura ordinaria che straordinaria.
Attenzione, però, a rispettare la privacy del condomino moroso. L’amministratore non può indicare pubblicamente i nomi dei morosi affiggendo, ad esempio sulla bacheca condominiale, i solleciti al pagamento. Le inadempienze possono essere comunicate nel rendiconto annuale, o agli altri condomini che ne facciano espressa richiesta, anche durante l’assemblea, nell’esercizio del loro diritto di vigilanza e controllo: a precisa domanda l’amministratore non può sottrarsi, mancherebbe ai propri doveri di trasparenza del mandato.
Rappresenta invece una grave lesione della privacy fare i nomi dei morosi in assemblea se a questa partecipano anche soggetti terzi (delegati di ditte, etc.) o pubblicarli in luoghi di pubblico transito (come la bacheca condominiale, appunto) dove potrebbero essere visti da estranei – postini, lavascale, portapizze – che non hanno alcun interesse in merito.
In conclusione, l’amministratore ha il dovere di dare copia di bilanci, verbali e rendiconti in cui risultano i nomi dei morosi a tutti i condomini che ne facciano domanda, l’importante è che questi dati non siano accessibili a persone terze estranee al condominio.